Sul dare e ricevere feedback

Sul dare e ricevere feedback

Saper dare e saper ricevere feedback è una capacità fondamentale per chi lavora oggi nelle organizzazioni. I meccanismi di regolazione tradizionali (la gerarchia, i ruoli, le procedure) non sono più sufficienti a organizzare in modo efficace ed efficiente il lavoro delle persone, e le relazioni sono sempre di più costitutive e fondanti l’agire organizzativo. In tutto ciò, il feedback, e cioè la possibilità di dare e ricevere un riscontro di ciò che gli altri fanno con noi e viceversa, è un aspetto centrale.
Saper gestire bene il feedback, sia nel darlo che nel riceverlo, è una precisa responsabilità dei manager ed è parte integrante della loro possibilità di indirizzare, coinvolgere e far crescere le persone.
Saper dare e ricevere feedback è rilevante anche per coloro che non hanno ruoli di responsabilità perché gli consente di promuovere relazioni collaborative e orientate al servizio, di gestire al meglio i conflitti, di comunicare in modo efficace, di essere efficienti.
Questa capacità è intimamente legata al carattere delle persone ed è molto influenzata dalla cultura sociale e da quella organizzativa. Tuttavia, ci sono alcune “regole di comportamento” che possono facilitare lo scambio di feedback. Ne propongo una sintesi in questa card, che solitamente insieme ad altre consegno ai miei cochee, con la raccomandazione di tenerla nel cassetto e ogni tanto di darci un’occhiata.

Sul dare feedbackLa prima invita a far prevalere un criterio di utilità su quello di verità. Non è un invito alla bugia, anche se ritengo che ogni tanto il mentire vada comunque preso in considerazione a protezione della relazione coi nostri interlocutori.

Far prevalere l’utilità significa interrogarsi su quanto il feedback può essere utile a noi, alla persona a cui ci rivolgiamo,
alla relazione, rispetto allo scopo che ci prefiggiamo. Ciò non è decidibile a priori e va di volta in volta valutato e deciso. Può essere utile a tale proposito fare riferimento al modello della finestra di Johary, che invita a tenere sufficientemente ampia l’area pubblica e, al contrario, a tenere ridotte l’area cieca e l’area nascosta (per una efficace trattazione di questo modello di comunicazione in rapporto al feedback rimando al lavoro di E.H. Schein contenuto nel suo libro La consulenza di processo, Milano: Raffaello Cortina, 2001).
L’ultima indicazione contenuta nella scheda rimanda all’etimologia della parola feedback, che contiene una suggestione legata al nutrimento (to feed). È importante tener presente quanto il feedback che stiamo per dare sia “indigesto” e come tale possa essere “rigettato” (sic!) dal nostro interlocutore. Se così fosse, meglio dosarlo in altro modo e accontentarsi di far arrivare solo una parte, quella più “digeribile”, rimandando ad altre occasioni il resto di ciò che vogliamo dire.

Faccio un’ultima considerazione sulla permalosità, nostra e degli altri, che il feedback sollecita. Essere permalosi significa letteralmente dare peso prevalentemente alla parte spiacevole del feedback. Il feedback è sempre ambivalente, come ci suggerisce Pino Pollina (si veda a tal proposito il suo contributo nel libro La comune organizzazione, Milano: Guerini e Associati, 2002) sia quando conferma o sconferma un pregio, sia quando conferma o meno un difetto. In tal senso ci pone sempre una sfida personale, che è di stare in quella tensione tra l’apertura e la chiusura, il noto e l’incerto, la conservazione e il cambiamento. Tensione non sempre piacevole, ma che accompagna ineluttabilmente le persone vive.


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