Agilità emotiva

Agilità emotiva

Per Marco è il primo giorno di ferie. Ha lasciato ai suoi collaboratori indicazioni precise e sa che sono persone in gamba. Dovrebbe essere tranquillo e rilassato perché non lo cercherà nessuno. E invece non ci riesce: quello stato di allerta e attivazione costanti non lo abbandonano, gli restano appiccicate. E sarà così per buona parte della sua vacanza, come al solito.

Laboratorio-agilità emotiva-bassa
© Tiziana Romanin. Vietata la riproduzione

Cristina ha avuto una discussione furibonda col proprio project leader, su questioni di principio: ancora una volta è un dialogo tra sordi, e la questione non sembra avere una soluzione. Cristina entra nel colloquio di coaching, e il suo cochee è lì ad attenderla. Lei cerca di concentrarsi, ma quella tensione e quella rabbia non l’abbandonano. La sessione di coaching terminerà senza grandi risultati.

Luca ha appena iniziato la riunione con i colleghi. Luigi ha già fatto un intervento disfattista e provocatorio e Luca l’ha “rimesso al proprio posto” con dati oggettivi inconfutabili. Il resto del gruppo è ben disposto e vorrebbe dialogare per cercare insieme una soluzione a qualche piccola criticità del progetto. Ma Luca oramai si è messo sulla difensiva e fino alla fine della riunione non riuscirà ad abbandonare quel tono vagamente aggressivo, direttivo e intimidatorio.

Antonio è appena rientrato dal lavoro. È al settimo cielo perché è riuscito a prendere una commessa di lavoro importante e ha voglia di festeggiare. Lorenzo, il suo bambino, è affranto perché ha bisticciato col suo migliore amico. Antonio scherza, gli racconta una cosa buffa: è di buon umore e questa sera vuole lo stesso per le persone che gli stanno intorno. Lorenzo lo guarda, pazienta un po’ e alla fine sconsolato per non essere capito, se ne va in camera sua, da solo.

Marco, Cristina, Luca e Antonio hanno una caratteristica comune: non sono capaci di agilità emotiva, e quindi non sanno cambiare velocemente disposizione emotiva per entrare in contatto con gli altri quando lo scenario richiede una rapido cambiamento.

Ma di cosa si tratta? L’agilità emotiva è la capacità di entrare ed uscire da uno stato emotivo con una certa rapidità, quando la situazione lo richiede, e comportarsi di conseguenza. Ha a che fare con la capacità di sentire e riconoscere le proprie emozioni, come stato importante, ma transitorio e al quale attribuire il giusto significato e peso. Si collega alla capacità di dare contenimento alle proprie emozioni e di creare un piccolo spazio tra noi e ciò che sentiamo in modo da poterci disporre in altro modo con la stessa persona o con persone diverse con le quali è importante uno stato emotivo differente.

Come si può imparare ad essere emotivamente agili? Certamente la nostra storia, che contribuisce in larga parte a fornirci un carattere, ha un ruolo rilevante. Come indica Umberto Galimberti (2011) le mappe emotive  si formano attraverso le cure primarie e predispongono la nostra competenza emotiva adulta. Tuttavia, su questa predisposizione possiamo far qualcosa: una adeguata attitudine riflessiva e l’acquisizione di alcune tecniche possono aiutarci.

Ci sono alcune “regole” che costituiscono il presupposto per sviluppare un’adeguata agilità emotiva. Susan David (2013) nel suo lavoro “Build your Emotional Agility” ne indica almeno tre. Il presupposto è di non cercare di sopprimere o minimizzare ciò che proviamo, perché quasi sempre si ottiene l’effetto contrario, che è quello di rimanervi maggiormente invischiato. Da qui, è importante:

1. considerare i pensieri e le emozioni per ciò che sono: pensieri ed emozioni, per l’appunto. In tal senso “da questo colloquio non otterrò nulla di ciò che voglio ottenere” può diventare “ho il pensiero che da questo colloquio non otterrò nulla di ciò che voglio ottenere”. Questo piccolo esercizio di consapevolezza crea uno spazio tra noi e la nostra esperienza, e ciò che pensiamo e sentiamo al riguardo. Noi non siamo i pensieri e le emozioni che proviamo, o per lo meno non c’è una coincidenza esatta: noi siamo anche altro e molto di più.

2. Accettare i nostri pensieri e le nostre emozioni: significa permettere alla nostra esperienza di fluire così com’è invece di cercare a tutti i costi di contrastarla. Dobbiamo fare un bel respiro, non entrare in uno stato di allarme e notare ciò che stiamo pensando e provando. Invece di saltare alle conclusioni è importante allenare la curiosità di conoscere meglio noi stessi e la nostra esperienza.

3. Agire sulla base dei propri valori: i pensieri e le emozioni sono fonti transitorie di informazioni e possono cambiare, come il clima metereologico. I valori sono invece una base più solida. Quindi è importante rispondere alle sollecitazioni dei pensieri e delle emozioni in un modo che rifletta i nostri valori.

Queste semplici tecniche per essere efficaci devono trovare nella persona un terreno di coltura fertile, ovvero un insieme di assunti in base ai quali le emozioni siano ritenute parte fondante la nostra esperienza, ovvero:

  • Considerare l’esperienza umana fondamentalmente emotiva e cercare di comprenderne le dinamiche. Il pensiero consapevole e razionale, come hanno indicato Maturana e Varela (1992) è quasi come la glassa sulla torta: è ciò che accade solo alla fine ed è uno strato molto molto sottile di tutta l’esperienza nel suo complesso.

  • Legittimare le emozioni, ovvero considerare legittimo ciò che proviamo e sentiamo, qualsiasi cosa essa sia. Ciò che non è legittimo è il passaggio all’atto, che talvolta viene utilizzato in modo per lo più inconsapevole proprio dove c’è una difficoltà a mentalizzare l’esperienza emotiva (Bateman e Fonagy, 2004).

  • Non far coincidere la razionalità con la logica e pensare che ciò che è irrazionale è anche illogico: la nostra parte irrazionale ed emotiva ha una sua logica anche se è sfuggente, aleatoria e spesso difficile da comprendere.

In che modo si può allenare l’agilità emotiva?

Ci sono percorsi di formazione che vanno più in profondità, come ad esempio i percorsi psicoanalitici, e che consentono alle persone di sviluppare una buona consapevolezza di sé e un’attitudine riflessiva. Nell’orientamento psicoanalitico relazionale è possibile andare oltre la consapevolezza, e fare dell’esperienza di relazione tra cliente e psicoanalista una vera e propria palestra di sperimentazione e riprogettazione del proprio modo di essere e di comportarsi, soprattutto riguardo alle emozioni.

Tuttavia, non sempre è necessario (o possibile) intraprendere un percorso analitico. Si possono ottenere risultati soddisfacenti anche con un percorso di formazione esperienziale che aiuti a sviluppare una sufficiente curiosità in se stessi, e da lì una buona attitudine riflessiva. Nella nostra esperienza, una serie di brevi incontri individuali o di piccolo gruppo con l’utilizzo di “acceleratori” di apprendimento, come ad esempio esercizi espressivi o autobiografici o di story-telling con l’uso di immagini (esercizi che si utilizzano spesso anche nella formazione manageriale) possono essere un buon inizio per fornire alle persone parte delle competenze emotive di cui necessitano.

Questi esercizi consentono di accedere con maggiore immediatezza alla parte meno razionale, di portarla alla luce, di nominarla e di inserirla in una circolarità dialogica con se stessi e con gli altri, in modo da poterla utilizzare nelle relazioni, personali e professionali.

Allo stesso tempo, e in abbinamento a ciò, abbiamo di recente trovato molto utile proporre alle persone brevi sessioni di teatro di improvvisazione, all’interno di un setting formativo-esperienziale, al fine di consentire un allenamento cognitivo, emotivo e soprattutto comportamentale (verbale e non verbale) ad assumere disposizioni emotive differenti. L’aiuto principale fornito da quest’arte, il teatro d’improvvisazione, è proprio la capacità di interporre tra l’emozione, il pensiero e l’azione, una piccola e infinitesimale “pausa di riflessione” contemporanea all’azione stessa. Sembra una contraddizione ed è difficile da comprendere per chi non abbia mai fatto esperienza di teatro di improvvisazione, ma è come se la mente venisse fatta impercettibilmente rallentare senza far smettere al corpo di agire. Ciò permette alla persona di inserire uno “spazio di gioco” tra emozione e reazione che consente un’azione non reattiva bensì intenzionale e appropriata alla situazione.

Questo è il punto centrale dell’utilizzo pratico di ciò che qui abbiamo definito “agilità emotiva”, ovvero quella capacità di entrare ed uscire da uno stato emotivo e assumerne uno differente e più adeguato al contesto, allo scopo da perseguire e alle azioni da intraprendere. Capacità oggi sempre più necessaria per affrontare efficacemente e con pienezza le nostre relazioni e appartenenze personali e professionali.


Comments are closed.
PageLines